Битеф
che protegge la grotta del mago si solleva d’un tratto, fluttua per qualche secondo a mezz’aria e poi - sorpresa - si invola nel cielo opaco di queste notti cividalesi, portato via da una decina di palloni meteorologici: rossi, blu, gialli. Un riflettore li insegne. le teste degli spettatori sono tutte rivolte verso l’alto, l’applauso di un’emozione facile ma vera scatta immediatamente. In basso, allora, la scena si mostra tutta quanta: un giardino teatrale all’italiana con quinte bianche e nere di carta di Firenze, avviate da una prospettiva ideale verso uno sfondo leonardesco di montagnole e nuvolaglie color pastello. Quasi un capriccio scenografico del tardo Rinascimento inventato da Miodrag Tabacki, ricordo appena sfiorato di un bozzetto о un’incisione di Cingoli, o Peruzzi. о di Bibiena, fra un décor di piccoli alberelli sferoidali e un'idea di zoo fantastico per mostri dorati e imbalsamati, tra i quali finalmente si aggirano il Matamoro gradasso di Vojislav Brajovic e il Clindor un po’ baccalà di Zarko Lausevic. L’edizione jugoslava dell’«Illusion», piatto forte della quinta giornata del Mittelfest, è zeppa di invenzioni come questa, e non somiglia per niente all’altra, levigatissima «Illusion» preparata anni fa da Giorgio Strehler per l’Odèon parigino, grande spettacolo di riconciliazione teatrale e concorrente difficile da cancellare dalla memoria. Ma il cast jugoslavo, assai vario, assai agguerrito, assai generoso, non si risparmia un attimo solo nell’accendere ovunque le micce inventive e probabilmente basta la giusta sintonia fra il regista macedone e il gruppo degli attori a spiegare la felicità degli esiti. Perchè [’«lllusion comique» non è mai un testo facile: inconsistente nella drammaturgia e nelle regole di genere, questo copione non tollera d’essere semplicemente messo in scena. Ha bisogno di una fecondazione esterna; può essere dimostrazione, sogno filosofico, trionfo del professionismo teatrale... Unkovski sceglie quest’ultima strada: niente filosofie rarefatte sull’illusione о sul disinganno deli-uomo, niente polpette didattiche sul potere che il teatro ha di produrre un’«altra realtà». Se il regista ha sottomano attori capaci, perché non chiedere loro di fare solo e soltanto gli attori? gli eredi contemporanei di una tradizione che va dritta dritta a impiantarsi nella Commedia deH’Arte? Fra i due suggerimenti del tìtolo prevale in definitiva l’aspetto «comique», il quale giustifica una serie ininterrotta di gag e di lazzi che interrompono il tessuto drammatico in un
ritmo via via più affrettato. E può ben darsi allora che Clindor sfidi il bellimbusto Adraste per ' amore dell’avvenente Isabella, può ben darsi che finisca in prigione, che venga poi liberato, e infine ucciso da un marito tradito. Tutto questo è nella favola di Corneille, e le favole - si sa - raccontano all’infinito la stessa storia. La compagnia jugoslava punta intanto tutto sull'amplificazione del personaggio, sulla sua straordinarietà di carattere; l’lsabella di Mira Furlan strilla da grande attrice la sua inesausta passione di prima amorosa, il bellimbusto Adraste di Dragan Jovanovič bellimbusteggia come un Richard Gere balcanico, sotto il vecchio e rincoglionito mago Alcandre si nasconde un giovane Dubravko Jovanovič e la cameriera Lyse di Mirjana Karanovic, con l’elmo e lo scudo dei cavalieri antichi, pare un’intrepida eroina del Tasso mentre congegna intrighi о disperatamente cerca di agguantare un maschio. Si impone, anche grazie alla parte, il ribaldo Matamoro di Brajovic, i cui duelli spesso esigono «partecipazioni straordinarie»; quella di una suggerìtrice fatta improvvisamente spuntare in quinta, quella del fotografo ufficiale del Mittelfest, quella del condirettore Jovan Cirilov, estimatore primo della compagnia e qui concessosi in un breve «carneo» spadaccino, largamente apprezzato dal pubblico. Da registrare, infine, la presenza pomeridiana della compagnia romana II Laboratorio con una insolita versione per burattini deli’«lmpresario delle Canarie», intermezzo di Pietro Metastasio su vezzi e vizi del mondo operistico settecentesco. □ Roberto Canziani, Il Picolo, 25. 06. 1991.