Bibliografia Vichiana I

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cuoco

vichianamente il passaggio dalla barbarie alla civiltà come svolgimento adatto spontaneo, a cominciare dai punto di partenza, ossia dal sorgere del sentimento religioso, altre volte « accenna invece di voler ripetere tutte le istituzioni dall’ arbitrio dei legislatori e fondatori di città, e, seguendo in parte le idee del Filangieri, non ammettere di naturale che il sentimento di un dio unico, di una forza infinita, e la molteplicità degli dèi attribuire agli artifizi dei sacerdoti e dei poeti insieme uniti per ingannare il volgo » : ch’è quanto di più antivichiano si possa concepire. Checché sia di ciò, attinta alle ipotesi storico-linguistiche formolate nel Liber metaphysicus e rifiutate, come s’ è detto più volte, dal Nostro è la fondamentale e fantasiosa tesi nazionalistica del Platone (cfr. specialmente 11, 208-30) : non i greci, ma gli antichissimi italiani, già ricolmi di civiltà raffinata quando quelli non esistevano ancora, essere stati i veri fondatori della filosofia, anzi gl’inventori di quasi tutte le cognizioni che adornano Io spirito umano. Analogamente, quando il Cuoco suppone che, circa due millenni avanti Cristo, si parlasse in Italia una lingua sola (li, 222), quella degli antichissimi e civilissimi etruschi, che, a suo dire, avrebbero regnato su tutta la penisola, irraggiando da essa una vivida luce di civiltà sull’intero bacino del Mediterraneo (11, 242-46), non fa se non ampliare un’altra di quelle rifiutate ipotesi vichiane ( Opp ., I, 126 e 243) : quella seconda la quale gli egizi, signori del Mediterraneo, avrebbero* in tempi preistorici, dedotto una colonia nella Toscana o Etruria, divenuta non solo prima sede dell’antichissima filosofia e civiltà italiche, ma altresì primo nucleo d’un « regno ben grande », il quale, oltre che dare « il nome a tutto questo tratto di mar nostro che bagna di Toscana sino a Reggio l’ltalia », « forza è » che vi diffondesse la sua lingua, « e di questa ne avessero preso i popoli, più vicini, del Lazio ». Così del pari applicazione della dottrina vichiana dei « ricorsi », ma contaminata col principio delle « catastrofi » o crisi della natura, così care al Pluche e al Boulanger, e già artificiosamente commiste al vichismo dal Pagano (v. sopra pp. 335 e 338), è l’altra fondamentale tesi nazionalistica del Platone (11, 208-30), anch’ essa destinata a percorrere molto cammino nei libri ; la tesi che non uno ma due periodi luminosi di civiltà avrebbe avuti l’ltalia antica: il primo le cui origini si perderebbero nella notte dei tempi, e a cui le ripercussioni del diluvio deucalionico, e anche « alcuni disastri particolari prodotti da que’ monti ignivomi, che distrussero tante nostre regioni », avrebbero fatto sottentrare un periodo di decadenza e poi di vera e propria barbarie ; il secondo, di civiltà « ricorsa » o « ritornata », le cui origini, sempre autoctone, sarebbero state tanto più sicuramente anteriori a quelle della civiltà greca, in quanto la Grecia originaria sarebbe stata appunto l’ltalia, e italico altresì Omero (v. sopra pp. 387-88). E, per non portare l’elenco all’infinito, non è da dimenticare, per ultimo, che interpretazione estensiva, e perciò arbitraria, d’una famosa degnità vichiana {Opp., IV, capov. 160), nella quale era stato osservato che i romani conquistarono l’ltalia e poi il mondo perché ancora barbari quando pei tanto più civili popoli che li circondavano s’era iniziata la decadenza, è l’altra tesi più o meno fantasiosa del Platone (li, 169-80), anch’essa destinata ad avere la maggiore fortuna nella letteratura nazionalistica italiana del primo Ottocento : quella secondo la quale la storia