Bibliografia Vichiana I

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cuoco

d’ltalia, da quando i romani cominciarono a pesare sulla vita internazionale, non sarebbe stata se non una lotta perenne tra la civile Italia e la barbarica Roma e, più particolarmente, tra i sanniti, eroici ma sfortunati difensori dell’indipendenza della penisola, e i romani, che di questa si sarebbero fatti tirannici oppressori e sfruttatori. Che se poi ci si chieda perché ci si sia fermati così a lungo proprio intorno al Platone , ritenuto oggi tra gli scritti del Cuoco, nonché soltanto il più fiacco, altresì il più passionale, che poi vuol dire il meno scientifico, la risposta non può suonare dubbia. Appunto perché esso sembrò tutt’altro che tale agl’italiani vissuti nel quarantennio lungo il quale la passione pel riscatto nazionale si fece in essi più tormentosa : al quale riguardo giova ricordare che dal 1820 e 1861 si sentì il bisogno di ristamparlo ben sei volte, e che, nella necrologia mentovata sopra, Gabriele Pepe, laddove procura di « scusare » il Cuoco d’avere messo fuori il Saggio storico , di cui si sbriga in poche righe, discorre a lungo di quell’* opera di scientifico momento » e « assai maggiore dell’altra », che, a suo dire, sarebbe stato il Platone. Falso vedere non restato senz’effetto nella storia della fortuna del Vico. Giacché, tra gl’innumeri lettori che il Cuoco ebbe nella prima metà del secolo decimonono, il vichismo che penetrò più a fondo nei loro cervelli non fu quello del Saggio storico , bensì 1’ altro, deteriore, del Platone, con tutte le contaminazioni nazionalistiche che si sono vedute. Al quale risultato concorse altresì l’avere il Cuoco suggerito ( Scritti cari, 11, 264 sg. ; e cfr. I, 44 sgg. ; li, 286) 1’ « idea d’un libro necessario all’ Italia », concependolo tale a cui il Platone sarebbe dovuto servire da sfondo e da modello e che, con la medesima commistione di storia più o meno documentata e storia più o meno fantasticata, avrebbe dovuto dimostrare che anche nei tempi moderni gl’italiani avevano goduto d’un indiscusso «primato nella letteratura e nelle belle arti ». Parole in cui tutti vedono come tracciato il programma e indicato persino il titolo del Primato giobertiano : altro e ancora più famoso documento dell’esasperazione a cui il sentimento nazionale fece portare le rifiutate ipotesi storico-linguistiche del Liber metaphysicus. Soltanto un cenno fugace è da consacrare a taluni piccoli scritti cuochiani del periodo milanese (1801-1806), non perché intrinsecamente di scarsa importanza, ma perché, restati inediti sino ai giorni nostri, non ebbero modo di concorrere alla diffusione del pensiero del Vico. Basterà quindi osservare che, se in alcune frammentarie considerazioni di ideologia (1803 ?) non s’incontra altro che un accenno al Nostro, il posto d’onore gli è riservato nell’abbozzo d’un programma d’un corso di legislazione (1805) e quasi di niun altro che di lui si discorre in un poco posteriore (1806 ?) frammento di prefazione a una Storia deir umanità (Scritti vari, I, 299, 334-37, 339-45). Per contrario, una fermata meno breve è da fare intorno all’attività del Cuoco giornalista. Tanto più che, a quanto sembra,