Bibliografia Vichiana I

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ROMAGNOSI

lezza non minore, e poi posto in opera con la prudenza più avveduta, i mezzi idonei al raggiungimento di tanto fine. Stando così le cose, solamente un pieno dominio sulle parole, che gli sgorgavano copiose dalla penna, avrebbe potuto tenere il Romagnosi lontano dall’ingiustizia. Per contrario ) tra gli scrittori del tempo, egli, insieme col suo discepolo Giuseppe Ferrari, era uno di coloro pei quali, tinto che abbiano di nero il calamo, diventa molto difficile porre in opera i freni inibitori. Naturale, dunque, che le anzidette Osservazioni gli riuscissero un tedioso elenco di proposizioni stroncatone, e che di queste nessuna regga né in cielo né in terra. Come è agevole scorgere attraverso la quasi semplice enunciazione di talune, che se ne dà qui sotto a titolo di saggio. L’opera del Vico è da definire «un presentimento fantastico della scienza da lui proposta ». Egli « pretende dare i principi della scienza intorno alla comune natura delle nazioni, e sono appunto i principi dei quali Fautore manca di più ». Il Nostro ebbe il torto di non elevarsi « alla forinola suprema della meccanica, dirò così, intellettuale, morale e politica delle nazioni, nel che si comprendono l’economia e le altre scienze tutte »: torto tanto maggiore, in quanto, se si fosse elevato a codesta forinola, avrebbe trovato che, con essa, « tutto il suo sistema fa armonia, anzi si congiunge a far parte del sistema fisico conosciuto da noi dell’universo ». Parole, che pure essendo accozzate insieme senza che facciano troppo senso, vogliono dire, in fondo, che il torto del Vico fu d’avere trattato problemi spirituali, cioè filosofici, con metodo non già meccanico o naturalistico, bensì filosofico o speculativo. « Ancor circondato da tenebre », il Nostro non seppe se non « traveder da lontano il barlume di una grande scoperta », nel dimostrare e sviluppare la quale lo Steliini « si può dire aver fatto molto di più ». « Mostra il Vico d’ignorare perfettamente la teoria del teismo naturale delle genti », come colui che « non vide » e. nemmeno a farlo apposta, nessuno lo aveva veduto e fatto vedere con evidenza egualmente sfolgorante (cfr. Opp ., IV, capovv. 377 sgg., 401 sgg., eco.) —che « la personificazione dei poteri della natura deriva da quella legge interiore, la quale fa trasportare le idee nostre e tutti noi stessi fuori di noi, e ci fa immaginare esseri umani, foggiati anche fantasticamente, come operatori delle cose esterne, alle quali ci è forza obbedire ». Il Vico « non si era formato in mente un lutto armonico, concatenato, unito » (proprio lui, ritenuto già ai tempi del Romagnosi uno dei sistematori più possentemente unitari !). «La sua testa era intollerante di quell’unità sistematica che forma dei soggetti un albero solo, nel quale la proposta, l’analisi e i risultati si seguono senza interruzione » (eh’ è ancora una volta l’opposto della verità). « Invece di correre su e giù per* le favole e le tradizioni dei tempi oscuri » invece, cioè, di precorrere, nella ricostruzione critica della