Bibliografia Vichiana I

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ROMAGNOSI

il Nostro affermò « native » parole e istituzioni che sono invece documenti di civiltà «dativa»: accusa tanto più ingiustificata in quanto il Vico, pure negando, e a ragione, all’incivilimento il carattere di dativo, ammette, tuttavia, che, determinatesi, in tempi meno primitivi, le migrazioni, parole e istituti di popoli più progrediti fossero comunicati ad altri più arretrati, non senza addurre l’esempio tipico dell’America, il cui corso naturale egli dice ( Opp ., IV, capov. 1095) è stato accelerato dal fatto medesimo della scoperta da parte dei tanto più civili europei. Vero è altresì, come non manca d’osservare il Croce, che, « compreso del nuovo senso storico », il Cattaneo alla questione del « nativo » e del « dativo » dava valore affatto empirico, e non credeva al popolo inventore e incivilitore del genere umano. Senonché con codeste e altrettali esaltazioni del Romagnosi s’ alternarono ben presto voci discordi. Si può sorvolare sui fieri attacchi mossigli dal Rosmini, perché relativi, più che ad altro, alla sua fede religiosa; e, tutt’al più, giova averli ricordati, dal momento che porsero occasione al Cattaneo, nella seconda delle sue nobili e vivaci difese del maestro, di rammentare al filosofo di Rovereto che la critica metafisica, che quest’ ultimo usava, era stata condannata dal Vico come quella che «va finalmente a terminare donde incomincia a insegnarsi, cioè nello scetticismo ». È da dire, per altro, che dopo mólti ma generici elogi della «mente varia», dell’ «ingegno acuto e profondo » e della « potente dialettica » di colui che gli era stato collaboratore nell’ annotare il Manuale del Tennemann, il Poli, quando scende al concreto, trova che le dottrine filosofiche del Romagnosi « non hanno né quella novità né quella precisione di che egli e gli altri andaronsi lusingando ». Né 1’ avere posto lo Steliini accanto e talora disopra al Vico tardava a procurare al Romagnosi una feroce stroncatura del Tommaseo (v. già sopra p. 244), il quale, tuttavia, pure spulciando con la consueta minuziosità maligna tutti gli scritti romagnosiani, non tenne conto, forse perché le ignorava, proprio delle Osservazioni sulla « Scienza nuova », che gli avrebbero dato ottimo giuoco. Un tentativo di riporre alla pari il Vico e il Romagnosi s’ebbe forse in uno scritto giovanile di Francesco Buonamici (1836-1928), se è vero, come venne assicurato trent’anni fa al Croce, che quell’opuscolo introvabile contenesse, oltre che una versione italiana del proio-