Bibliografia Vichiana I

ROMAGNOSI

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quium al De uno, anche una protesta contro il filosofo del diritto Federico Giulio Stahl (1802-61), il quale, nella tante volte ristampata Philosophie des Rechtes nach geschichtliches Ansicht (1830-37), tradotta anche in italiano da Pietro Torre e annotata da Raffaele Conforti (Torino, Favaie, 1853), non aveva discorso né del filosofo napoletano né del giureconsulto di Salsomaggiore. E, eh’ è più, un’ appassionata apologia di quest’ultimo scrisse nel 1857 uno dei più acuti interpreti del Nostro, cioè Emerico Amari. Per lui il Romagnosi è «un grand’ uomo, le cui opere per mezzo secolo, sino al 1848, furono vanto e scuola degl’ italiani, ed oggi, certo per l’immensa sapienza contemporanea, quasi dimenticato » : è anzi colui che, « dopo il Vico, aveva più profondamente filosofato sulla scienza della storia e del progresso». Peggio: I’Amari giunge a chiamare « vittoriosa » la misera confutazione dell’hegelismo tentata dal giureconsulto emiliano, osservando persino che il Romagnosi « ottimamente meritava non solo della scienza ma del senno italiano quando opponeva la sua filosofia, tutta positiva, sui fatti fondata e dai fatti provata, a quei paradossi perigliosi il cui menomo difetto è l’incomprensibilità » : quei « paradossi perigliosi » che, novant’ anni prima dello Hegel, erano stati in gran parte formolati dal Vico e che gli antivichiani settecenteschi tacciavano appunto d’ «incomprensibilità». Di avviso affatto diverso si mostrò, invece, il Cantoni, il quale, con grande copia di validi argomenti, pose in rilievo che, con la sua antiquata mentalità intellettualistica, il Romagnosi, lungi dal perfezionare il Nostro, o era tornato a posizioni oltrepassate da quest’ultimo, ovvero, alla guisa medesima del Filangieri, del Pagano e degli altri illuministi napoletani del secolo decimottavo, aveva compreso così poco la Scienza nuova da contaminarne le idee direttive coi principi più repellenti : per esempio, quando, nel discorrere delle origini del diritto romano, non aveva esitato a porre nel medesimo crogiuolo il principio vicinano dell’ « arcano delle leggi » e quello anlivichiano di considerare Romolo e Ninna non meri simboli d’istituti giuridici, anzi due dotti legislatori o « tesmofori ». Né èda passare sotto silenzio che il medesimo Cantoni, nell’istituire un parallelo tra l’ingegno genialmente sintetico del Vico e quello pedestremente analitico del Romagnosi, pure ammettendo che, sotto l’aspetto estrinseco, le opere del secondo possano sembrare meno disordinate della Scienza nuova, aggiungeva che.