Bibliografia Vichiana I

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J ANNELLI

appartiene » (pp. 55-73). E, per ultimo, egli va del tutto fuori di strada quando trova un’ altra cagione « de’ lenti progressi » di essa Scienza nuova nella mancanza di quell’ altra scienza che sarebbe dovuta essere sua compagna indivisibile, vale a dire dell’istorosofia detta sopra (pp. 74-87). Quanto acuto, per contrario, si mostra il Jannelli nell’individuare, in un capitolo particolare (pp. 21-29), le « principali scoverte » del Vico nella scienza delle cose umane ! Viceversa, disuguaglianze analoghe a quelle ora notate si riscontrano nelle critiche mosse al capolavoro vichiano in altri due capitoli (pp. 160-76 e 188-99) intitolati rispettivamente Della « Scienza nuova » di Vico considerata come scienza delle umane cose e Della « Scienza nuova » di Vico considerata come parte della storia universale antica emendata e corretta secondo la scienza delle umane cose. E, invero, non si può dare al certo ragione al Jannelli quando fa battere con soverchia forza l’accento sul fatto che « chi per poco volge l’animo suo da un lato alla brevità de’ libri di Vico, dall’altro alla vastità, al numero delle umane cose, si avvedrà senza fallo » « quale sterminato spicilegio resti ancora a raccòrrò ». Né si dirà ch’egli imbrocchi il segno quando, nel suo eccessivo censurare come « sommamente disordinata e confusa » 1’ ultima Scienza nuova, trova a ridire persino sul fatto che «un libro intero » (e si tratta invece soltanto di una tra le quattro sezioni di un libro) sia consacrato a « massime o dignità », cioè a « elementi e principi della scienza, dai quali né chiaro lume si ritrae per le seguenti ricerche, né a che sien dirette sempre e manifestamente si scorge »; ovvero, per tacere il resto, biasima ancora più severamente il Nostro d’avere, tra il secondo e il quarto libro della seconda Scienza nuova, intercalato il terzo intorno alla « discoverta del vero Omero ». Naturalmente, con ciò non s’intende contraddire ai fatto indubitabile che le proposizioni fondamentali dell’ opera vichiana non sono « tutte vere, tutte esatte, tutte provate ». Ma è pure vero che gl’interpreti posteriori (salvo il Fiorentino) non hanno punto seguito il Jannelli nell’erronea affermazione che per « divina provvidenza » il Vico intendesse ambiguamente « alcune volte la vera e reale azione di Dio, colla quale governa e regge il mondo e conduce al fine le umane cose », e altre volte « la persuasione che gli uomini hanno di tale azione di Dio su di loro », Analogamente, nessuno oggi ripeterebbe, sulla falsariga del saggio iannelliano, che « 1’ origine degli dèi è egualmente indistinta e confusa nella Scienza nuova » ; sebbene, d’ altro canto, gli studi recenti abbiano confermata parzialmente l’altra più fondata critica : che « la generazione o formazione degli dèi », che il Vico chiama « teogonia naturale » o « cronologia della storia poetica », è « sommamente imperfetta, arbitraria, ristretta, particolare ». Infelice già, come s’è accennato, nelle critiche, alquanto superficiali, alle mirabili scoperte vichiane sull’origine comune del linguaggio e della scrittura e sulla natura dei geroglifici e, in genere, della scrittura ideografica, il Jannelli mostra addirittura di non avere compreso l’altra più mirabile scoperta vichiana della priorità ideale della poesia alla prosa. Inoltre egli si rivela alquanto contraddittorio in ciò che soggiunge dei « caratteri poetici » vichiani, affermati una volta «per certi aspetti, falsi » e un’altra pregni di « profonda verità ». Né poi egli rende piena giustizia al Vico quando, riecheggiando il Genovese (v. sopra p. 255), qualifica « romanzetti filosofici » « que’ fulmini che atterrano i giganti, que’ luoghi fissi e certi nei quali si postano tali atterrati giganti, quello sboscamento