Bibliografia Vichiana I

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JANNELLI

della gran selva per gli Ercoli, que’ luci, quelle are sulle quali le caste Veste sacrificano gli eslegi ed empi della comunione canina, que’ ciclopi, quell’oro poetico ed altrettali cose ». Per contrario, il Jannelli non potrebbe collocarsi in un osservatorio migliore quando, nel farsi a considerare il Nostro quale trattatista della storia universale antica, parte dal presupposto che « 1’ acutissimo Vico vide e sentì così vivamente questa grande ed utilissima verità »: che soltanto la costruzione d’ una storia ideale eterna poteva riempire il vuoto di venticinque secoli di preistoria che « non si rivolse solo attentamente all’antica storia, ma quasi vi si precipitò impetuosamente ». Suasive appariscono altresì tanto l’affermazione generale che nella Scienza nuova si trovino « alquanti punti dell’antica storia mirabilmente dichiarati, alquante emendazioni vere ed esatte, alquante interpretazioni assai giuste e distinte », quanto le osservazioni particolari, giusta le quali vengono annoverate tra codeste emendazioni e interpretazioni commen* devoli le discettazioni intorno alla natura dell’ antico governo romano, al corso della giurisprudenza, allo spirito delle leggi romane, alle origini di molti costumi eroici, alla pretesa sapienza degli egizi, dei caldei, dei fenici e dei cinesi, e via enumerando. Punto suasivo, per converso, diventa il Jannelli quando, per l’innata antipatia, comune a molti eruditi e archeologi napoletani del tempo, contro le novità storiografiche che cominciavano allora a venire dalla Germania ed erano state in gran parte precorse o divinate dal Vico (v. appresso, capitolo secondo, paragrafo 11, numero 4), annovera tra le cose che il Nostro avrebbe asserite contro ogni verisimiglianza la negazione della venuta di Enea e di una colonia di frigi, nonché di Evandro e di una colonia di arcadi, in Italia; l’ipotesi che la scena, per dire così, geografica, dei poemi omerici non s’ estendesse in realtà oltre i confini dell’ antica Eliade ; la scepsi più assoluta nei racconti tradizionali sulla genesi delle XII Tavole; la riduzione di Zoroastro, Theut, Orfeo e, « per la metà », di Omero a caratteri poetici o miti, ecc. ecc. Ma, d’altra parte, non è possibile non dare ragione al Jannelli quando sostiene che l’erudizione del Vico non era pari aU’assunla impresa di riformare e correggere anche nei particolari la storia universale antica; ch’egli fu tutt’altro che diligente nello «svolgere e cercare e raccòrre que’ frammenti oscuri ed incerti onde dipende la storia antica »; e che, avendo a codeste deficienze congiunto « l’amor della novità e lo spirito di sistema », accadde che, « apertasi una nuova via, vi corse rapidamente, non vide ch’essa, non distinse che i suoi nuovi obietti »; sicché « tutto parve a lui che servisse alle idee sue ». Il fatto stesso del tanto rilievo dato qui a codesto saggio iannelliano dovrebbe bastare a mostrare il concetto assai alto, in cui, malgrado le aberrazioni notate qui sopra, va tenuto. A ogni modo, non sarà forse inutile aggiungere che già il Fiorentino osservava, non troppo esattamente, che tra gli studiosi della Scienza nuova un solo «con fine acume » aveva saputo scorgere il vero significato che ha in essa la parola «provvidenza». E, da parte sua, il Cantoni poneva tanta distanza tra il Jannelli e i vichiani napoletani che lo avevano preceduto da chiamare