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quel tempo gli uomini abbiano scoperto anche cotesti diabolici antipodi. In fatti il secolo XYIII è più illuminato di tutti gli antecedenti, ma non so se fra le progressioni delle scienze e delle verità dimostrate potrà inserirsi la teoria delle streghe e dei maghi. Vi ho scritto più di quello che volevo. Voi continuatemi la vostra amicizia, che mi preme assai più di tutte queste dottrine". A questa lettera non rispose nostro padre, perchè il Conte Carli non gli scrisse più, e nostro padre passò all’altra vita a’ 19 di Novembre del 1765 alle ore 12 della notte venendo i 20 dello stesso mese. Sino dal 1763 ritrovandosi il nostro Commendator Carli nella situazione che a suo luogo abbiam riferita, dell’attraversamento della sua grandiosa impresa di Carlisburgo, sua Maestà l’lmperatrice Regina Apostolica Maria Teresa d’Austria, il cui nome Augusto basta per mille elogi, intenta a rendere sempre più felici i suoi Sudditi, risolvette dar nuova legge alle ferme, e di assicurare in più ferma maniera la pubblica economia dello stato di Milano, e il Commercio. Quindi meditando di erigere un nuovo consiglio unicamente destinato a questi oggetti, fu richiesto il nostro Cavalier Carli se accetterebbe la presidenza di esso; e l’ardente amore, da cui egli fu sempre infiammato di essere utile agli uomini, non meno che il suo attaccamento al servizio di Sua Maestà lo indussero ad accettare la proposizione, purché la tariffa fosse corretta e la cosa passasse segreta sino al suo compimento, che non poteva essere che alla fine del 1765Con l’intelligenza di questo trattato si parti da Capodistria, e col pretesto d’accompagnare il figliuolo nel Collegio di Parma e di assisterlo da vicino, si trasferì a Parma nel Dicembre del 1764 e poi si fissò in Piacenza. Con l’occasione che le loro Maestà andavano nel 1765 a Innsbruck fu insinuata al nostro Conte Carli replicatamente dalla Corte di portarvisi pur esso per conciliare il piano degli affari, ma egli credette bene di disimpegnarsene, non perchè ci fosse, come si credette, trattato alcuno con altre Corti, mentre egli costantemente si dispensò, ma perchè prevedeva di non potere sottrarsi dalla pubblicità. Fu adunque nell’Agosto di detto anno dalla Corte invitato ad andar a Vienna, con la generosa protesta che nel caso che non si ritrovasse modo di conciliare l’affare egli sarebbe risarcito di tutti gl’incomodi in quella miglior maniera che per lui si fosse desiderato. A’ 22 di Settembre dunque arrivò in Vienna, e passò col nome della sua Commenda di S. Lazzaro, annunziandosi per Commendatore di S. Lazzaro ond’essere incognito. „Ecco che bisogna (gli disse il Sig. Principe di Kaunitz allor che gli si presentò accompagnato dal Sig. Conte Firmiau) far venire dall'ultimo fondo d'ltalia un uomo di merito per servizio di Sua Maestà. “
{Continua).
Avanzi del Teatro Romano di Pola (lettera)
Dall'lstria, Agosto 1881. Sulla cima del Monte Zaro sorge ora l’osservatorio astronomico; e tutt’intorno, sui fianchi del colle, i nuovi edilìzi della nuova Fola, intersecati da deliziosi giardini con aiuole fiorite e fontane zampillanti e cespuglietti e alberi e piante sempreverdi. Ma le glorie di Roma non le dimentica l’istriano, dinanzi alle moderne bellezze : non le dimentica ; e, vago di risuscitare nella mente il passato, visita una casa la quale, con l’annesso giardino occupa metà della superficie dell’antico, distrutto Teatro Romano. È questa la casa, di semplice ma elegante architettura, del sig. Capitano Ermano Schram, cultore appassionato delle cose antiche.
Essa prospetta di fianco 1’ attuale Casino deifi i. r. Marina di Guerra. L’altra metà deifi area del Teatro è ora occupata da un „Ristoratore. “ Mercè la cortesia del sig. Schram, visitai col mio carissimo Giulio la sua bella collezione d’armi e di antichità romane rinvenute in Istria ed altrove. Egli ci condusse quindi nel suo giardino, dove si vedono gli ultimi ma preziosi avanzi di quell’insigne monumento romano che fu il Teatro Giulia, il miracula Zari del nostro Rapicio. Questo Teatro, decantato per eleganza di stile e per istraordinaria ricchezza di marmi sorgeva sul fianco settentrionale del Monte Zaro, dalla parte opposta all’ Anfiteatro. La tradizione Io attribuisce a Giulia Cenide, la bella istriana, amata e tenuta in conto di moglie dall’ imperatore Vespasiano. Era ampio quanto metà dell’Anfiteatro (il cui asse maggiore misura 137 metri ed il minore 110), alto quanto questo (90 piedi veneti) ; e capace di contenere circa diecimila persone. Integro, o quasi, fino al secolo decivvoquarto, incominciò a rovinare col principio della decadenza di Fola. È menzionato in un diploma del 1303 del patriarca d’ Aquileja, dove se ne vieta 1’ asporto delle pietre sotto pena di cento zecchini. Il primo scrittore che lo vide e ne parla trovo essere Marin Sanudo ; ed a titolo di curiosità mi piace riportarvi le sue testuali parole tratte dall 'ltinerario del 1483 (v. giornale L'lstria, anno IV, 1849);. . . „E ancora dall’altra banda di quà di là terra, e alcune muralgie di un palazo antico belissimo, et a descriver molto degno, rovinato. 0 cossa excelente; et di gran inzegno forono chi l’edificoe!" Ne scrissero poi Pietro Martire d’Angera, il Rapicio, il Serlio, 1’ Anonimo dei Dialoghi su Fola; i Provveditori veneti, Deville, Tommasini, Petronio, Maffei, Carli, Cassàs, Kandler ed altri. Il Serlio ne diede la descrizione e alcuni disegni, con qualche dettaglio. Il Deville, ingegnere della Repubblica di Venezia, adoperò le pietre di questo monumento, già a 1 suoi tempi molto guasto, per costruire la fortezza del castello, nel 1630. Pure restava ancora qualche pezzo di muraglia, qualche arcata : l’ultima di queste venne atterrata nel 1851, un anno dopo la morte del povero Carrara che ne avea tanto caldamente raccomandata la conservazione. Alcuni anni fa (1877), sgombrate pelle nuove costruzioni le macerie che in grande quantità occupavano il sito, si scorpersero la forma e le fondamenta del Teatro Romano : ne fu rilevata e disegnata la pianta, posseduta dal signor Schram, e che Giulio ha potuto copiare. Il giardino Schram conserva non solo la forma della metà del semicircolo (cavea), ma eziandio i segni di alcune gradinate con gran parte del muro romano, sul quale sono disposti alcuni capitelli con varj ornamenti d’ordine corintio, pezzi di colonne, cornicioni, fregi ecc., appartenenti al Teatro, e rinvenuti sopraluogo durante gli scavi. Nel mezzo del giardino s’eleva, sul posto occupato diciotto secoli addietro, una colonna intera, con base e capitello, di prezioso marmo africano ; la quale offre un saggio della ricchezza di questo Teatro. Bagnata, presenta un complesso de’ più vivi e varj colori. Fu rinvenuta sopraluogo, fra le macerie del Zaro. Fantasticando, tra quelle povere scarse reliquie, il mio pensiero corse là nella poetica laguna di Venezia. Ricordai di aver sostato commosso dinanzi le quattro grandiose colonne di marmo greco che adornano l’aitar maggiore della Chiesa della Salute, e che apparteuevauo a questo Teatro. Qnaute melanconiche memorie della mia terra lontana quella vista mi avea destato nel petto ! ~.. Intanto, era scesa la note: una bella notte d’estate tacita e serena; e noi la si contemplava dalla sommità del Zaro. La luna, veleggiando il firmamento, rischiarava i tetti
e gli orti, e di lontano 1’ eccelsa mole del romano Anfiteatro. Regnava nella città dormente quel profondo silenzio che raccoglie i pensieri più mesti e fa ricordare i tristi casi della vita, le perdute speranze, ... e allora, vago, arcano, un desiderio di morir si sente. Del Teatro, già incantevole ornamento di questi luoghi, è ormai quasi scomparsa ogni traccia. E fino a quando questo pallido raggio di luna splenderà sulla tua ampia e svelta cinta traforata, o superbo Anfiteatro, che sfidasti l’ira di tanti secoli ; quando cederai tu pure alla formidabile potenza del tempo ?
G. P. De Franceschi
A LIVORNO IL 30 AGOSTO 1881 PRECIPITE MORBO CI SPENSE PIETRO COSSA DRAMMATURGO ROMANO DOPO OTTO LUSTRI DI VITA IGNORATA DOPO DUE DI GLORIA MENTRE LEONE DI SALUTE fi D’INGEGNO CON NUOVO LAVORO NUOVO VANTO ALL’ITALIA NUOVO DILETTO ALLE NAZIONI CIVILI PREPARAVA NERONE-PLAUTO • COLA DI RIENZO - GIULIANO MESSALINA - CLEOPATRA - BORGIA CECILIA - I NAPOLETANI SARANNO LE SFAVILLANTI CARIATIDI DEL SUO MAUSOLEO
LETTERA V.
Parenzo
Voler narrare qualche cosa di Parenzo e non dir nulla della Basilica eufrasiana, è quasi peggio di quello che non sia descriver Roma senza parlar del Vaticano. Ma il discorrere sui monumenti classici antichi non è pane per tutti i denti, ed i miei sou proprio fatti di ricotta in proposito. Quando penso poi essere stata questa Chiesa illustrata nientemeno che dai Carli, dai Cappelletti, dai Heider, dai Htibsch, dai Sohde, dai Kandler, dai Chirtani, dai D'Agincourt, e ultimamente, per la seconda volta, dal Tedeschi, competentissimo fra i competenti, a me povero diavolo non resta che di spigolare e di ripetere. Ma anche questo non è ufficio che mi vada a sangue ; a quale scopo imbrattar carta ed impancarsi a dire con prosopopea di artista consumato delle cose, che non sono frutto di lunghi e ben digeriti studi, ma semplici reminiscenze di meditazioni lunghe fatte da altri? Eppoi per quattro giorni che mi sono fermato a Parenzo, non è forse pretenzioso di parlarne d’uno dei piu perfetti monumenti dell’ arte cristiana, qundo un architetto francese, Charle Verard, se ne stette l’anno scorso oltre 6 mesi in questa città occupandosi esclusivamente del Duomo ed illustrandolo da par suo, ciò che a tutti sarà presto manifesto per una stupenda edizione che dallo stesso artista verrà pubblicata a Parigi.? Eppure convieu dire alcunché di questo famoso tempio della prima metà del VI secolo, che il silenzio non sarebbe giustificato, anzi prenderebbe sembianze nel caso concreto di pusillanimità. A me basta soltanto d’aver messa in evidenza la mia scarsa competenza di confronto alle persone sullodate ; che se qualcuno desidera saperne di più, ora sa a qual fonte dissetarsi.
*) V. i N.ri 18, 20 e seguenti,
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