Битеф

porto con ili testo che abbia significato solo nella parafrasi metaforica, prendendo quel che serve per lavorarci sopra secondo un criterio diverso. Se l’autore persugue un disegno, e lo realizza nella sua opera, Ricci e i suoi collaboratori si sforzano di interpretare la realizzazione del disegno e dì dilatarla, cogliendo spunti e recivendo stimoli che abbandonano l'opera stessa e la sua storia, diventando una cosa a sé. Ogni rapporto instaurato con un testo possiede delle sue motivazioni e merita una analisi particolare, per cui non è possibile tracciare un filone, diciamo così, tematico sul quale fare scorrere tutti gli spettacoli. Tuttavia, in «Moby Dick» come nelle citate prove, non è difficile distinguere un’unica mano che racconta il rovello del protagonista (proiezione quasi sempre di un archetipo contemporaneo) di fronte a un mondo in cui non si raccapezza e in cui non è riconosciuto a causa di un’eccentricità che, In definitiva, sottolinea il distacco, il rifiuto, più spesso il distacco, il rifiuto, più spesso il disgusto e la delusione, del protagonista medesimo, cioè dell'uomo d’oggi; e non perché l’eccentricità sia effettiva ma perché gli -altri, la maggioranza, le idee dominanti la costringono a dichiararsi, o la vogliono, come taie. I personaggi sono legati, quindi, da una intrinseca disadattabilità e da una follia «tutta sana» che dà vanto alla trasposizione scenica. Ed ecco il punto che meglio qualifica il teatro di Mario Ricci. Esistono vari livelli di risposta e di soluzione alla situazione originaria, tematica. Alcune volte più serrata è l'attenzione per il personaggio, per la scomposizione, in modo che la costanza del conflitto tra la falsa ragione circostante (quella del teatro in genere o quella del pubblico o quella dei manipolato-ri del pubblico) e la follia «tutta sana» risulta nei nodi drammatici più profondi: altre volte, il personaggio si dichiara fin da principio per ciò che è, e non diventa oggetto di uno scavo, si offre al centro di un gioco di rottura, di beffa, di scherno anche straziante: è un’unità che non si può smembrare e va accettata -per la lezione, per la reazioni che provoca. Nella versione numero due, affiora con maggiore evidenza la caratteristica preminente del teatro di Ricci che consiste nella visualizzazione e nella sonorizzazione della materia presa In considerazione. Lo scrupolo di alimentare il discorso con una fluidità di impulsi arriva molto avanti, a rischio di sconfinare nel formalismo e di dilagare nella suggestione programmata. «Moby Diok» rientra nella versione numero due ma non direi che si possa parlare di eccessi nella direzione indicata come pericolo immanente.

E’chiaro, però, che strada facendo Ricci e I suoi compagni hanno acquisito una dimestichezza così pronunciata con gli strumenti di cui dispongono, che partecipano più che in passato al divertimento, a quello che potremmo definire una forma di luddismo poeaico. Non ci scapita troppo, rispetto ovviamente alla linea di sempre, la consistenza della posizione assunta sulle cose; ma non c’è dubbio che il piacere visivo, l'effetto della combinazione sonora si impongono come canali prioritari nella comunicazione. Non credo che sia necessario ripetere che gli spettacoli di Mario Ricci non possono essere raccontati e che tanto meno è possibile, e corretto, mettersi faticosamente a rintracciare 1 contatti e le distanze prese dai testi. La storia del capitano Achab non scorre lungo le righe di Melville. Achab, suggerisce una voce, va per mare ogni qual volta si rompe le «balle» e siccome questi momenti sono In aumento finisce per starci assai spesso, anzi per rimanerci a tempo pieno. Ma è un uomo che non riesce a portare a termine neppure un castello di carte. E' capace appena di attaccarsi alla bottiglia e di infilarsi un cannocchiale nell’occhio per vedere dove scappa la balena bianca, e dove si profila uno scampolo di terra dai colori e dal paesaggio di favola (una vecchia stampa di rigattiere rimessa a nuovo). Achab non ha marinai; intorno si muovono grossi pesci ohe capovolgono il principio delle sirene o del tritoni, cioè hanno la testa dì pesce e le estremità degli -uomini. Questi singolari personaggi costruiscono la barchetta di carta nella quale prende posto il capitano Achab per la sua ennesima, e sfortunata, costruzione con le carte. Mentre è seduto davanti al castello in pezzi, la balena bianca lo inghiottirà insieme al resto aprendo le sue enormi fauci. L'uomo che insegue un'occasione per misurare la propria «potenza» senza cercarla prima in se stesso, è destinato a farsi trangugiare dalla balena bianca, cioè daU'occasione stessa? L’interrogativo resta aperto. Balza immediatamente aH’occhio la puntigliosa ricerca di rappresentare, affidandosi al fascino dell'avventura di mare senza farsi catturare dalla letteratura convenzionale. Si notano una maggiore semplicità, un calcola più sorvegliato, un che di esibizionistico. Lo sviluppo dell’azione non s’niceppa, sebbene non venga imbroccata ovunque l'idea felice. 1 vari pezzi si incastrano l'uno nell'altro perché randamento complessivo riesce trascinante, disturbato di tanto in tanto da un «sonoro» che stenta a guadagnarsi una funzionalità proporzionale alle intenzioni o alla necessità.

Ricci punta al «bello» e conferma di aver raggiunto e maturato un linguaggio che sa adoperare con sorprendente disinvoltura. Parlandogli, l'ho sentito soddisfatto perché anche I più riottosi si stanno accorgendo che II suo linguaggio teatrale ha una efficacia «politica». E’ una querelle inutile. Ricci e i suol compagni garantiscono con «Moby Dick» oltre un'ora di teatro che non ha nulla da spartire con il falso impegno culturale di gran parte della scena ufficiale, e non si gettano a corpo morto, come si verifica per alcuni gruppi cosiddetti alternativi, a riesumare parole e slogan logori in nome del proletariato (il quale non pensa ad occasionali alternative). E’ un lavoro, il loro, che ruota sull'lmmaginazione, non sopporta bardature ideologiche. La positività scaturisce dalla contrapposizione di fatto al resto, e soprattutto all'esistente nella attuale congiuntura teatrale. Poiché questa contrapposizione ha già qualche anno sulle spalle, essa ha agito in maniera feconda ed è spinta and uscire dal giro dell'«off» da una forza intrinseca. Sarà forse per questo che lo spettacolo più «bello», il «Moby Diok», fa intravedere i I segno pungente del consumo. Vorrei citare, infine, gli attori. Per primo, Claudio Privitera, molto sicuro: poi Lillo Monachesi, Angela Diana, Carlo Montasi, Carla Renzi e Gabriella Toppani, che sono offiatati e sostengono il ritmo e le esigenze della messinscena con clandestina precisione. Non si vedono quasi, eppure sono di rara efficienza. Alcuni di essi, insieme a Mario Romano, hanno realizzato I materiali scemici, ingegnosi come sempre. Rìcci con l’operatore Guido Cosulich e Angela Redini ha curato i pezzi filmati. Spezzoni proiettati sulle vele di Achab. Uno specchio? (Italo Moscati Teatro, 9 januar 1970)

il lìbero gioco di maria ricci Il «gioco» che il gruppo di sperimentazione teatrale di Mario Ricci ha portato avanti quest'anno con Moby Dick è giunto a un grado di perfezione che coi; pisce anche quanti ebbero la ventura di vedere Re Lear durante la passata stagione e ancora prima il Barone di Münchhausen. Dieci anni di lavoro, ormai, a una tetragona determinazione, questa del Ricci, sul filo di una creatività teatrale assolutamente originale fe non mi rife-

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