Bibliografia Vichiana I

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PAGANO

I'Atlantide ; Vico, al pari di Colombo, fu il primo a navicarvi : ma, dopo Vico, niun altro se non Pagano ha avuto il coracmo di seguirli ». E, come se ciò fosse poco, soggiungeva che « chiunque conosca a fondo la storia dell’ uomo sa bene che essa è fondata sopra i principi di Vico e di Pagano »; aggiungeva a rincalzo che « l’oggetto di Vico e di Pagano è stato quello di distinguere nell’uomo le qualità costanti dalle variabili » ; e conchiudeva che « l’ltalia, che si deve rimproverare la negligenza che per tanto tempo ha mostrata per Vico, deve oggi piangere sulla sorte infelice di Pagano». Senza dubbio, tre anni dopo, il medesimo Cuoco si contentava di osservare che i meriti vichiani del Pagano consistevano nell’avere concorso col Filangieri e col Cesarotti a divulgare la Scienza nuova (v. sopra p. 331) e «tentato di esporla e comentarla in parte e renderla più chiara nei suoi Saggi politici » . Anzi, altri due o tre anni dopo, scriveva addirittura che il Pagano non è se non 1’« espositore di Vico »: degradazione, da continuatore e perfezionatore a semplice esegeta, avvenuta simultaneamente al passaggio dalla prima (1801) alla seconda (1806) redazione del Saggio storico, dal momento che in quella i Saggi politici erano stati affermati « la miglior cosa » che si potesse leggere « dopo le opere di Vico », e in questa, invece, venne detto che « nella carriera sublime della storia eterna del genio umano voi non rinvenite che le orme di Pagano che vi possan servir di guida per raggiungere i voli di Vico». Tuttavia l’opinione che il Pagano, insieme col Filangieri, fosse appunto il prosecutore e quasi il perfezionatore dell’autore della Scienza nuova imperò a lungo nella scuola giuridica napoletana della prima metà dell’Ottocento, e in modo particolare tra coloro, a cominciare da Nicola Nicolini, che erano stati discepoli universitari del Pagano, e il cui orecchio era solleticato tuttora dall’eloquenza affascinante del maestro. Ciò spieghi come mai, persino dopo il 1840, Gennaro Rocco, che apparteneva a quella scuola, da un lato desse importanza alle varianti (quasi sempre infelici) introdotte dal Pagano nel pensiero del Nostro, e, d’altro canto, scrivesse che « i Saggi politici debbonsi tenere come il miglior commento finora avuto dalla Scienza nuova, come un’opera ripiena di sublimi concetti, d’idee profonde, e come un monumento perdurabile di erudizione e di scienza ». Tanto più che anche fuori Napoli, e ancora nel 1851, il Gioberti poneva il Vico e il Pagano sul