Bibliografia Vichiana I

cuoco

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Né è da credere che, col suo ritorno a Napoli (agosto 1806), edi cessasse dal diffondere dottrine vichiane per mezzo di fogli politici. Al contrario, continuò in questa ch’era divenuta per lui abitudine, attraverso i due giornali napoletani dei quali fu via via direttore e per qualche tempo principale redattore; il Corriere di Napoli (dal 16 agosto 1806 al 31 decembre 1810) e il Monitore delle Due Sicilie (dal 1° gennaio 1811 al 23 maggio 1815). Ecco, per esempio, nel Corriere del 4 febbraio 1807 un articolo su Pulcinella maschera napoletana , nel quale viene resa quasi popolare la teoria vichiana sull’origine delle maschere antiche ( Scritti vari, 11, 260 ; e cfr. Vico, Opp., IV, capov. 910 ; V, pp. 237-39; Vili, 252-53). Eccone, nei numeri dell’ 11 e 16 marzo successivo, due sui Rinaldisti, ov’ è ripreso e ampliato il parallelo del Nostro tra i rapsòdi dell’antica Eliade e i « rinaldi », o cantori popolari di Rinaldo, Orlando e Gano di Maganza, ancora fiorenti in Napoli mentre il Vico e poi il Cuoco scrivevano ( Scritti vari , 11, 261-62 ; e cfr. Vico, Opp., IV, capov. 856). Eccone, nel numero del 16 maggio 1807, un altro sulla Favola atellana, che, nella parte più importante, è divulgazione della teoria vichiana dei caratteri poetici ( Scritti vari , 11, 263). Ecco ancora nel numero del 24 ottobre 1808, recante un annunzio d’un libro di Antonio Sementini, un importante escorso sul De aequilibrio ( Scritti vari , 11, 267-68, e cfr. sopra p. 123). E così via. Quanto poi al Monitore, a prescindere dai riferimenti al Vico che sono in annunzi bibliografici di opere del Micali, del Vivenzio e di Nicola Nicolini, mette conto dare qualche risalto a una curiosa recensione della terza edizione del più oltre citato libro di Melchiorre Delfico sulTincertezza e inutilità della storia (cfr. più oltre paragrafo IV, numero 1) ; recensione inserita nel numero dell’B novembre 1814, e nella quale si procura, poco felicemente, di vichizzare quello scritto così profondamente antivichiano, giungendosi persino ad asserire che 1’ autore «si mostra degno emulo del gran Vico, il quale il primo stabilì che l’uomo non iscrive ciò che è, ma ciò che sente ; che ha un suo modo proprio di sentire, onde spesso le sue sensazioni non corrispondono alla realtà delle cose »; e via continuando in codesta volgarizzazione alquanto meccanizzata della teoria vichiana non al certo della storia ma del mito {Scritti vari. 11, 249-51). Con che sia detto a guisa di digressione il Cuoco, pure scorgendo che, quanto a scepsi, il Vico (scrive il Croce) « avrebbe fatto ampia parte a quella del Delfico, accogliendola come stimolo alla sua ulteriore indagine », non vide che il medesimo Vico, « profondo com’era, per elevare la storia da certezza a verità, da verità estrinseca a verità intrinseca, prese la via regia, eh’ era quella d’interiorizzare la storia e considerarla vera in quanto produzione del soggetto, rifacimento ideale del fatto dal soggetto ; e non si argomentò di ricorrere al calcolo e peso delle testimonianze, come usano i giudici nei tribunali, essendo qui in questione, come egli confusamente sentiva, il valore stesso della testimonianza ». Senonché. come s’ è detto, veicoli di propaganda vichiana