Bibliografia Vichiana I

COLLETTA - TROYA

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gli scriveva da Briinn, ov’era a sua volta confinato : « I migliori maestri di letteratura sono i classici : un’ora di lettura di Cicerone, di Bacone, di Vico vale quanto nn anno di scilinguatura di un semidotto ». Che, dunque, il futuro autore della Storia del Reame di Napoli avesse letto la Scienza nuova, parrebbe indubitabile. A ogni modo, nel paragrafo XIV del primo capitolo del primo libro dell’anzidetta Storia, pubblicata postuma a Lugano nel 1834, egli dava del Vico questo profilo : E viveva Giovati Battista Vico, miracolo di sapienza e di fama postumo, perché, da nessuno pienamente inteso, da tutti ammirato, e col l’andar degli anni meglio scoperto e più accresciuto di onore, dimostra che in lui era forse volontaria l’oscurità, o che le sentenze del suo libro aspettano per palesarsi altri tempi ed ordini di studi più confacenti alle dottrine di quell’ingegno. Per converso, nessuna ammirazione aveva pel Nostro il maggiore eredito napoletano del tempo, ossia Carlo Troya (17841858), nel cui carteggio col suo amicissimo Gabriele Pepe non mancano, come s’è visto (pp. 456 e 457), accenni all’autore della Scienza nuova. Nessuna ammirazione, perché tutt’intera la concezione storiografica vichiana era antitetica a quella de! Troya, il quale diceva, non senza ironia, di amare la storia empirica, che narra i fatti sui documenti, non l’altra sublime dei Vico e degli Herder, che « aggruppa in un punto solo i secoli e l’umanità ». Naturale, dunque, che si ponesse contro le principali « discoverte » storiche e di metodica storica del Nostro. Per esempio, al pari del Pepe (v. sopra p. 457), deplorava quell’eccessivo etimologizzare, ch’era stato tra le conseguenze del diffondersi dei metodi vichiani. Deplorava «le tristi eredità dell’Omero vichiano ». Deplorava che negli « studi che intorno all’ origine delle nazioni si fanno, massimamente fuori d’ltalia », si andasse «in cerca de’ pochi ed oscuri detti d’ un qualche scoliaste d’ autore antico per fondarvi sopra la storia primitiva de’ popoli nostri, trascurando non di rado i racconti, assai più pieni ed interi, d’un Erodoto, d’un Dionigi e d’altri storici » : con che si poneva in duplice modo contro il Vico, il quale, mentre attribuiva grande pregio proprio a quegli « oscuri detti » o, com’egli li chiamava, « rottami dell’antichità», trovava favoloso ciò che della storia dell’età degli dèi e di quella degli eroi avevano tramandato Erodoto, Dionigi d’ Alicarnasso e, in genere, storici e annalisti vissuti in tempi colti. Deplorava che «le canzoni dei barbari e le legai