Bibliografia Vichiana I

490

BALLANCHE

non pochi errori di filologia o erudizione, ma che non riescono a rendere non vera l’ispirazione a cui quella filologia o erudizione obbedisce ; malgrado tutto ciò, essa si rivela opera di chi fu dotato nel grado massimo di quel « sonnambulismo del genio», che sa penetrare nel midollo delle cose; opera, quindi, che scuote le menti con forza assai maggiore di altri libri didascalicamente perfetti. Che se poi, da buon mistico, l’autore della Palingénesie sociale manifesta la maggiore ammirazione pel proposito del Vico di non varcare mai i confini dell’ortodossia (tanto che il Predar! presentava il Ballanche come un « Bossuet messo in delirio con la Scienza nuova alia mano » ), codesta ammirazione sa, in codesto caso particolare, tenersi così lontana dal fanatismo da non inibire di vedere che la logica stessa del sistema vicinano doveva, come rendere inattuabile quel proposito, così trascinare il Nostro ad assegnare alla civiltà genesi e sviluppo affatto spontanei e quindi del tutto indipendenti da un'originaria rivelazione e da successive trasmissioni da popolo a popolo. Che anzi, proprio per codesto motivo religioso, secondo giustamente osservava già il Cantoni, il Ballanche, pure accettando ed esponendo i concetti vichiani relativi al corso delle nazioni, ai caratteri poetici, ai costumi primitivi, alla poesia, ai miti, alia divisione dei tempi in divini (o, com’egli dice, cosmogonici), eroici e umani, alla originaria e fondamentale distinzione del genere umano in eroi e faraoli (o patrizi e plebei), e segnatamente alla storia giuridica e politica di Roma, riteneva, come il Romagnosi (v. sopra p. 436), che presso tutti i popoli, non escluso quello ellenico, la civiltà, lungi dall’essere nativa, fosse dativa, ossia non formazione spontanea dello spirito, bensì opera di trasmissione e tradizione. A una traduzione francese della Scienza nuova, che, secondo s’aflermò, il Ballanche avrebbe concepita e magari iniziata, ma alla quale tutto fa supporre non pensasse nemmeno, s’ accennerà nel numero 7 del presente paragrafo. Qui è da aggiungere che egli si nutrì anche dei Liber metaphysicus. Lo mostra, tra l’altro, il prologo àeWOrphée, ov’è scritto ( CEuvres , IV, 38-39) ; « Toutefois j’ ai dù désirer une transaction métaphysique : Vico est venti me l’offrir. Son traité De antiqua (sic) italorum sapientia est en quelque sorte le complément de cette cosmogonie romaine tentée dans le neuvièrne livre de VOrphée ». E questa appunto è la ragione per cui in taluni