Bibliografia Vichiana I

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NTEBUHI!

fosse possibile precursore così nella critica omerica come nella storiografia romana dei primi secoli. Con ben altra equanimità la questione fu trattata dal Capei. Il quale, dopo avere anche lui, come TOrelli, additato e discusso talune coincidenze tra il Vico e il Niebuhr, scrive : Da persona così candida e schietta, che non avria voluto né saputo ingannarmi (il Savigny, che il Capei aveva conosciuto personalmente a Firenze nel 1827), mi fu data già notizia che, quando il Niebuhr dettò le sue lezioni intorno la romana istoria, e poi le diede per la prima volta in luce, non sapeva né il nome né gli scritti del Vico nostro. Ma il Vico era famigliare a quel candido e schietto alemanno, al quale vo debitore della preziosa notizia, ed a questo illustre suo concittadino si confessa pur debitore il Niebuhr se spesso nella sua mente spuntò più lucido un pensiero, si fé’ più chiara un’idea. In ogni modo, la manifesta relazione tra le idee del Vico e del Niebuhr si chiarisce abbastanza per coloro i quali rammentino che questi fu discepolo del Voss (il poeta e filologo Giovanni Enrico Voss da Sommersdorf nel Mecklemhurgo, 1751-1826), delle cui opinioni gloriasi esser seguace. Se il Niebuhr, venuto per ambasciatore in Roma del re di Prussia, conobbe e lesse le opere del Vico nel tempo che passò tra la prima e la seconda edizione della sua Istoria, non mi fu dato saperlo. Ma quel più dotto de’ giovani italiani nelle greche e nelle latine lettere, cui la patria riconoscente, porgendogli ristoro alla inferma salute, colloca eziandio tra’ suoi primi prosatori e poeti viventi (si tratta, naturalmente, del Leopardi, che il Capei aveva conosciuto di persona a Firenze), porta opinione che il Niebuhr, col quale famigliarmenle visse e conversò in Roma nell’anno 1823, mai non vedesse gli scritti del Vico, sì perché non l’udì giammai rammentare da lui, e perché tanta virtù, tanta schiettezza d’ animo ravvisò nell’ alemanno, che vergognerebbe d’ attribuirsi glorie non sue. Al qual testimonio altro se ne aggiunge gravissimo, ed è che, se togli al Niebuhr quanto si trova detto dal Vico, tanto a quello rimane d’ originalità e di sublimi nuovi concepimenti, che pur bastano ad immortalare dieci uomini di lettere, nonché un 5010... Oltreché, se il Niebuhr non tralasciò mai di rendere quanto doveva della sua Romana istoria al Perizonio, allo Scaligero ed al Beaufort, non è da credere che egli non saria stato egualmente religioso inverso del Vico, ove gli fossero state note eziandio le opere del grande italiano, e di quelle si fosse giovato. Malgrado qualche punto debole, codeste considerazioni, generalmente parlando, erano troppo sentiate perché, pure senza il nome del Capei, non facessero un certo cammino. Basti dire che esse ricomparivano, in un riassunto abbastanza fedele, in una mediocre traduzione italiana della Ròmische Geschichte comparsa in quegli anni, e, totalmente deformate, in un Discorso, citato più oltre, di Antonio Ranieri. E, invero, costui, abbandonandosi anche questa volta al naturale impulso a colorire romanzescamente le cose più semplici, si diè a fantasticare che,