Bibliografia Vichiana II

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MICHELET

A Milano visitava (22 aprile 1830) il Romagnosi, « vieux légiste annotava in certi appunti di viaggio « qui en est à Vico, et encore... martyr de la liberté », e che, nel mandargli poi a Parigi (settembre 1831) un suo scritto, gli scriveva : « Altro titolo di affetto avrei come italiano per il di lei lavoro sul Vico ». A Firenze entrava in rapporti col giureconsulto Francesco Forti da Pescia (1806-38), redattore de\V Antologia, nella quale, tra 1’ altro, recensì il Traité de droit penai di Pellegrino Rossi, il quale Forti, anche lui studioso del Nostro, gli scriveva l’anno appresso (28 giugno 1830) a Parigi: «Ella è troppo benemerito dell’ltalia per la traduzione del Vico perché tutti gl’italiani, che hanno avuto il bene di conoscerla di persona, non si rechino ad onore il servirla ». E molto, infine, gli dolse d’avere dovuto rinunziare, dopo una breve sosta a Roma, alla pur divisata corsa a Napoli, ove, come appare dalla lettera scrittagli in quella congiuntura dal fratello di Pietro de Angelis, Andrea (Napoli, 4 maggio 1830), accoglienze liete e oneste gli avevano apparecchiate il De Angelis stesso, « M. l’abbé Jannelli, M. le marquis de Villarosa et quelques autres de nos littérateurs qui se sont plus spécialement occupés des profondes investigations de l’auteur de la Scienza nuova ». Tornato a Parigi col cuore, la fantasia e T intelletto pieni dellTtalia e dei grandi italiani a lui più particolarmente cari Virgilio, Dante, Vico pensò di scrivere una compiuta storia della penisola, salvo poi a darne fuori soltanto la parte relativa al periodo repubblicano di Roma antica. Per intanto, pagine caldissime sullTtalia inseriva nell’ lntroduction à l’his, taire universelle, lavorata subito dopo la rivoluzione di luglio e pubblicata nel 1831. A quanto di codesto scritto dice il Monod, malgrado « Paffinité profonde et comme une harmonie préétablie entre le syncrétisme grandiose, obscur et poétique de Vico e l’esprit de Michelet», l’autore avrebbe introdotto nel « déterminisme providentiel » della Scienza nuova una « modification essentielle », col suo fare della «liberté humaine luttant contre la fatalité de la nature le ressort principal de l’histoire ». Ma, a dire il vero, nel dare inizio a quell’lntroduction con la formolazione della tesi che «1’ histoire n’est pas autre chose que le récit » dell’ « interminable lutte » dell’ « homme contre la nature, de l’esprit contre la matière, de la liberté contre le fatalismo», il Michelet, pure avendo fortissimo quel concetto del progresso, fiacco e, comunque, non preponderante nella Scienza nuova (v. sopra p. 358), non faceva, chi bene osservi, se non portare alle conseguenze estreme così il taglio netto stabilito dal Nostro tra il mondo della natura e quello degli uomini, come la polemica condotta dal Vico contro la concezione stoica o fatalistica della storia, e