Bibliografia Vichiana II

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CAUER

delle cosiddette scienze positive, risultati eguali e magari più cospicui che da quello delle lingue e letterature classiche (p. 256). Altra prova d’avere inteso perfettamente 1’ opera vichiana il Cauer dà quando, nell’esaminare la forma della Scienza nuova , s’avvede della difficoltà che incontrava il Vico così a dominare il materiale erudito accumulato da lui, come a rendere ordinato e perspicuo il suo pensiero, e meglio ancora quando ripone le cause di codesta difficoltà principalmente nel fatto che la « divina unità ideale », che il filosofo napoletano procurava di vedere in tutto ciò che accade, era in lui « meno un chiaro principio scientifico che una fede ispirata, che lo riempiva di * divin piacere ’, di cui avrebbe bramato rendere partecipe il lettore » (pp. 258-59). Da ciò, naturalmente, il Cauer viene condotto a esaminare l’erudizione vichiana, ch’egli trova, specie nel campo etimologico, autodidattica, lacunosa e tanto più fantasiosa in quanto osserva il Vico s’appigliava frettolosamente e senz’esame critico a qualunque dato di fatto gli sembrasse convalidare i suoi assunti. Di che il Cauer segnalò pel primo quale curioso esempio quel passo della seconda Scienza nuova ( Opp ., IV, capov. 471), nel quale il Nostro, avendo udito parlare vagamente d’una scuola poetica slesiana e, d’altro canto, movendo dal presupposto che la « Silesia » è « provincia quasi tutta di contadini », additò proprio quella scuola quale riprova delle origini popolari e quasi contadinesche dell’ attività poetica, mostrando, per tal modo, di non sospettare nemmeno che quegli « slesiani » erano i Gaspari von Lohenstein (1635-83), i Cristiani Hofmann von Hofmanswaldau (1617-79) e gli altri imitatori tedeschi del Marino (p. 259). Con quanto discernimento poi il Cauer indichi le idee geniali sparse a piene mani nelle opere del Vico, può essere commisurato dal giudizio ch’egli reca del capitolo finale della seconda Scienza nuova {Opp., IV, capovv. 1097-1112) :un capitolo scrive, nel quale l’autore «s’ eleva a un’esposizione assai più fluida e piena di foga » di quella in lui abituale, « come se il suo spirito, dopo essere, con onesta fatica e penoso sudore, penetrato nella materia, scacciasse ora da sé qualunque materialità, innalzandosi con libero volo nell’etere luminoso del puro pensiero > (p. 264). E, per ultimo, al Cauer non potevano sfuggire di certo le differenze, e quasi antinomie, tra il circolare concetto vicinano del ricorso e il rettilineo concetto del progresso, peculiare al secolo decimonono. Nella storia dei vari tempi e popoli egli dice il Vico fissa lo sguardo soltanto sulle coincidenze, non anche sulle divergenze; prova interesse soltanto pel passato, non anche per l’avvenire. Il pensiero d’un compito tramandato di generazione in generazione, e all’adempimento del quale ciascuna deve concorrere, resta estraneo alla sua filosofia. « Ciò appunto Io divide profondamente dagli uomini che, specialmente in Germania, a partire dal Lessing e dallo Herder, hanno dato 1’ avviata alla filosofia della storia. E, appunto perciò, quello che egli ci ha dato, tutto è fuorché una filosofia della storia nel senso nostro, tedesco, o, meglio ancora, protestante. Giacché, alla fine dei conti, si deve soltanto alla Riforma l’averci aperto questa celeste concezione dell’avvenire ». Osservazione, quest’ultima, non meno giusta che acuta, e che, mentre può essere additata quale una delle ragioni della persistente scarsa fortuna del Vico in terra tedesca, va poi integrata e sviluppata con l’altra formolata ai giorni nostri dal Croce {La storia citata più appresso, p. 139, e cfr. Storiografia italiana nel secolo decimonono , I, 39 ) : che « non si riattacca né