Bibliografia Vichiana II

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MOMMSEN

poche divergenze, presenta col Nostro le maggiori coincidenze e conformità, è precisamente lui. Come il Vico, sebbene forse in misura non egualmente radicale, egli vede nella storia tradizionale di Roma antica un’accolta di favole e leggende. Come il Vico, s’avvale spesso, come di documenti per ricostruirla criticamente, di etimologie dì voci latine. Come il Vico, pone l’origine di talune favole romane nella fantasia inventiva di scrittori greci. Come il Vico (e già il Niebuhr e lo Schwegler), ritiene che le origini di Roma siano da ricercare non fuori d’ltalia, ma nello stesso Lazio. Come il Vico (e a differenza del Niebuhr), considera le gentes aggregati di famiglie discendenti da uno stipite comune. Come il Vico, dà grande rilievo al carattere aristocratico di Roma antica, deplorando {Ròmische Forschungen, I, 284) che « l’elemento aristocratico da me stesso e dai più, credo, dei colleghi sia stato disconosciuto nella sua importanza », ignaro o dimentico che proprio su codesta importanza il Diritto universale e le due Scienze nuove avevano battuto e ribattuto usque ad satietatem. Come il Vico (e forse con minore nettezza), ritiene che nell’antica Urbe ciascuna gens formasse quasi uno Stato nello Stato. Come il Vico, trova che il racconto tradizionale delle geste dei sette re non è se non un’esposizione in ordine cronologico, e sotto forma di narrazione storica, dei vari istituti di diritto pubblico introdottisi in tempi antichi nell’Urbe. Come il Vico, vede nel Senato un corpo che, prima di divenire consultivo, aveva detenuto nella sua pienezza V imperium. Come il Vico, è d’opinione che i clienti fossero fuggitivi postisi sotto la protezione di una gens patrizia, ricevuti da questa come famoli e non esercitanti alcun diritto civile se non attraverso la persona del patrono. Come il Vico, crede che i plebei originari fossero clienti esercitanti principalmente l’agricoltura. Come il Vico, riconosce nei patrizi i soli cittadini originari, e nei plebei delle origini quasi un diverso popolo, composto di peregrini o stranieri e, insomma, di non cittadini. Come il Vico, ritiene che quella attribuita al primo Bruto fu rivoluzione aristocratica, della quale, a danno dei plebei, beneficiarono i patrizi. E, per sorvolare su tutto il resto e spiccare un gran salto sino alla cosiddetta lex imperii Vespasiani, già il Vico ( Opp ., IV, capov. 1457), come poi il Mommsen ( Ròmische Staatsrechi, il, 876 sgg.), aveva fatto notare eh’ essa non è una legge comiziale ma un senatoconsulto ; e già il Vico, pure senza risolverla, aveva posto la questione, poi riproposta e risoluta dal Mommsen ; che, dal momento che quel senatoconsulto si designa da se medesimo quale atto avente valore di vera e propria legge, bisogna supporre che, nel votarlo, contrariamente alla procedura delle leggi comiziali, la rogazione della legge, lungi dall’ essere proposta dal Senato e approvata o respinta dai comizi, fosse proposta dal popolo e approvata e pubblicata dal Senato. Naturalmente, a codesta comunanza di vedute il Vico e il Mommsen giungono per vie diverse e quasi opposte : 1’ uno, per intuizioni o figurazioni geniali, che procurava poi di puntellare con gli scarsi aiuti che a un cervello così poco filologico come il suo poteva offrire la più che scarsa erudizione romanistica che correva nell’ancora assai arretrata Napoli della fine del Sei e dei principi del Settecento; l’altro, in virtù d’ una molto intelligente e sistematica indagine erudita, avente per og-