I Tonini storici di Rimini

quando per avventura giovava raccogliere su meno e migliori la lena e la luce. Umanisti, per esempio, come quell’Augurello che passò per alchimista quando insegnava in versi latini a far l’oro, o quel Modesto che diede a Venezia gloriosa e incuriosa un poema romano, se di nuovo e più a dentro studiati o presentati più al vivo, potevano scusar bene il silenzio su taluni fiochi versificatori. Ma, oltreché non è del nostro tempo rinfacciare a persona il soverchio delie ricerche e de’ ragguagli, è innanzi tutto da aver presente che quel libro discretamente s’intitola, come ricordavo, della coltura riminese, e che l’autore preoccupò con sue buone ragioni il luogo agli addebiti che prevedeva; e poi riman fermo che in quei volumi sono a ogni modo egregie pagine, e molto vi è di bene osservato, di utilmente stenebrato, di piamente raccolto, sì che per essi cresce all’ autore un merito ragguardevole, oltre a quello che in lui è massimo e che tutti li assomma, di essersi fatto erede e prosecutore dell’ impresa paterna. Spesso accade che mi torni a mente il detto di un compianto amico a cui davvero favellava in cuore lo spirito delle Muse. Con laboriosa sagacia preparata la stampa di uno scrittore, diceva nella prefazione a un di presso così : « non tutto ho fatto, non tutto ho veduto, ma il fatto da me agevolerà altri a fare il restante, e chi salito su le mie povere spalle vedrà più lontano, credo che se vorrà esser discreto

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