La critica e l'arte di Leonardo da Vinci

170 PARTE SECONDA

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« Non ha la statua il rilevo per esser larga, lunga e profonda, ma per esser dove chiara e dove scura. Et avveriasi, per prova di ciò, che delle tre dimensioni, due sole sono sottoposte all'occhio, cioè lunghezza e larghezza..., perchè delle cose che appariscono e si veggono, altro non si vede che la superficie, e la profondità non può dall'occhio esser compresa, perchè la vista nostra non penetra dentro a’ corpi opachi. Vede dunque l'occhio solamente il lungo e ’l largo, ma non già il profondo, cioè la grossezza non mai. Non essendo dunque la pronfondità esposta alla vista, non potremo d’una statua comprender altro che la lunghezza e la larghezza; donde è manifesto che noi non ne vegghiamo se non la superficie, la qual altro non è che larghezza e lunghezza, senza profondità. Conosciamo dunque la profondità, non come oggetto della vista per sè et assolutamente, ma per accidente e rispetto al chiaro et allo scuro. E tutto questo è nella pittura non meno che nella scultura, dico il chiaro, lo scuro, la lunghezza e la larghezza : ma alla scultura il chiaro e lo scuro lo dà da per sè la natura, ed alla pittura lo dà l’arte » (1). Con queste parole Galileo Galilei diede del rilievo la miglior definizione, ch'io mi conosca, poichè spiegò l'identità di chiaroscuro e di rilievo.

Dunque, dato un piano di base (p. es. la tela di un quadro) perpendicolare allo sguardo dell'osservatore, l’effetto di rilievo si ottiene, quando, distaccandosi dal piano di base per virtù di chiaroscuro, l'immagine sembra avvicinarsi all’osservatore. in ial caso potremo parlare di figure rilevate, cioè di pitiure eseguite con intento scultorio o plastico. Ma se invece, dato il medesimo piano di base, l’immagine dipinta, per virtù di qua-

(1) Lettera di Galileo a Lodovico Cardi da Cigoli, 26 giugno 1612, in Le opere di Galileo Galilei, Firenze, 1901, vol. Xì, p. 341.