La critica e l'arte di Leonardo da Vinci
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LA VISIONE DELLA NATURA 27
minate ; il simile fa il bianco, ed i colori misti partecipano della natura de’ colori che compongono tal mistione; cioè il nero misto col bianco fa berettino, il quale non è bello nelle ultime ombre, com'è il nero semplice, e non è bello in su’ lumi, come il semplice bianco, ma la suprema sua bellezza si è infra lume ed ombra » (1).
Anche di fronte agli effetti del lustro, Leonardo conosce esattamente le conseguenze che il colore ne deduce. Anzitutto sa che « l’ illuminazione è partecipazione di luce, e lustro è specchiamento di essa luce » (2). Indi constata :
« Quella superficie mostrerà meno il suo vero colore, la quale sarà più tersa e pulita. Questo vediamo nelle erbe de’ prati e nelle foglie degli alberi, le quali, essendo di pulita e lustra superficie, pigliano il lustro nel quale si specchia il sole o l’aria che le illumina, e così in quella parte del lustro sono private del loro natural colore» (3).
« Quel corpo più dimostrerà il suo vero colore, del quale la superficie sarà men pulita e piana. Questo si vede ne’ pannilini e nelle foglie delle erbe ed alberi che sono pelose, nelle quali alcun lustro si può generare, onde per necessità, non potendo specchiare gli obietti, solo rendono all'occhio il loro vero colore e naturale, non essendo quello corrotto da alcun corpo che li illumini con un colore opposto, come quello del rossore del sole quando tramonta e tinge i nuvoli del suo proprio
colore » (4).
Applicati alla pittura questi principii, risulta facilmente
DI
che per mantenere la virtù cromatica di una tinta è pur ne-
cessario che la superficie del dipinto sia scabra. Così atiuarono
(1) Trattato, B. 680. (2) Trattato, B. 651. (3) Trattato, B. 219. (4) Trattato, B. 220.