Un giudizio intorno a Venezia di uno scrittore marchigiano del secolo XVI

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battuto e vinto. Vero è che anche il successore di Pio V, Gregorio XIII, cercò di riannodare la Lega e fece più fuoco d’ogni altro per decidere all’ azione Filippo 11, il quale continuava a stare sulle scuse, sui ripieghi, sulle promesse. Ma neppure Venezia dimise mai il proposito, come da taluno fu creduto, di continuar la vittoria e non tralasciò fino all’ ultimo incitamenti e preghiere perchè Filippo li muovesse ancora contro il nemico della cristianità. All’ ambasciatore veneziano in Ispagna, il Senato, il 22 novembre 1572, scriveva; « Siamo sicuri che il Re non vorrà permettere che gli Stati della Cristianità e la Santa Fede nostra abbiano a restar oppressi da quel tiranno. » Ma Filippo II era occupato nelle lotte religiose di Fiandra, e tra i protestanti e i maomettani non erano certo questi ultimi che egli più odiava. Per ciò incominciarono nell’ animo dei veneziani segreti intendimenti di pace. I commerci s’ erano quasi del tutto arrestati in quella violenta tempesta di guerra, e 1’ utile della patria esausta imponeva una risoluzione, che ai più animosi poteva sembrare contraria alla dignità. Prevalse il concetto del bene comune, e il cuore fu vinto dal senno. « II minor male è una specie di bene » osservava a questo proposito lo storico patrizio Francesco Longo. Del resto, che cosa avrebbero potuto fare da soli i veneziani, non aiutati nel pericolo, nè seguitati nella vittoria ? Per ciò al bailo di Costantinopoli, Marcantonio Barbaro, si diede il carico di sentire quali fossero le intenzioni del Sultano, e dopo parecchi mesi di negoziati, nel marzo del 1574, si conchiuse, per la segreta intramessa di Carlo IX di Francia, la pace. I veneziani restituivano il castello di Sopotò, conquistato da Sebastiano Veniero, rinunciavano ai loro diritti sul reame di Cipro, promettevano di pagare alla Sublime Porta 300,000 ducati in tre anni e di accrescere il tributo per 1’ isola di Zante da 500 a 1500 zecchini. La Repubblica per converso otteneva che il commercio godesse gli antichi privilegi per tutti i porti e domini delfini-