Bibliografia Vichiana I, стр. 237
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ALFANO
tutta la vita nel convento napoletano di San Domenico Maggiore, erudito disordinato ma non privo di qualche valore e, oltreché amico del Vico, anche corrispondante del Muratori e largo annunziatore di non mai inviati contributi ai Rerum Halicarum scriptores. Non che i suoi rapporti personali col Vico fossero posteriori al 1730 : si conosce, al contrario, ch’essi datavano per lo meno dal 1720. Ma i documenti scritti dei suoi giudizi sul Nostro non sono anteriori al 1734. In quell’anno, valetudinario non meno dell’amico filosofo, era afflitto da certe sue « crude indisposizioni ». Ma bastò che prendesse tra mano la seconda Scienza nuova nel mentovato esemplare postillato (v. sopra p. 230) e leggesse una prima, e poi una seconda e terza volta, l’ ldea del!opera, perché racconta o, meglio, colorisce egli stesso in una lettera al Vico del 17 giugno di quell’anno, come già tre secoli prima ad Alfonso il Magnanimo, tormentato da gagliarda febbre, la lettura delle deche liviane, così a lui quella dell’opera vichiana servisse da balsamo ristoratore. Giacché, « in leggendo cose così riposte, così rare e così ben trattate e maneggiate », « nel tempo stesso che le leggeva, niun dolore per lo miserevole corpo sentiva » ; anzi gli si ravvivarono tanto « gli spiriti », che, « senza apportargli incomodo il suo grave malore, e quasi ito via », potè seguitare felicemente la lettura delle Annotazioni alla Tavola cronologica », mercé della quale fu «tratto fuori da’ maggiori dubbi che la cronologia avesse». E, come se ciò non bastasse, ancora il 28 luglio del medesimo anno, nel riscrivere al Vico, gli dava assicurazione che, dopo quel bagno di vichismo, gli pareva essere divenuto « altro uomo », dolente soltanto di non avere più «l’antica forza e vigore » e ingegno adeguato a trarre profitto da ammaestramenti così peregrini. Può darsi che, nelle intenzioni dell’ Alfano, quest’ ultima effusione volesse essere semplicemente di falsa modestia. Ma che, nel fatto, egli dicesse il vero, appare dalla sua implicita confessione di non avere compreso una parola sola del secondo lunghissimo libro del capolavoro vichiano : dalla confessione, cioè, d’essergli restata inintelligibile proprio la frase comprensiva con cui quel libro è condensato in un passo famoso del terzo : « Impossibil cosa che alcuno sia e poeta e metafisico egualmente sublime». Peggio: dopo avere informato l’amico di andare preparando uno scritto (non pubblicato mai e an-