Bibliografia Vichiana I, стр. 241

ROMANO - ANTONELLI

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mostra d’ignorare e l’accenno del Bonamy al Nostro (v. sopra pp. 232-33) e la diatriba antivichiana del Lami e la dissertazione del Ganassoni (v. più oltre pp. 245-49). Cinque anni dopo (1749) il Romano riprendeva la penna anche contro la linguistica vichiana, dando fuori in Napoli, presso Serafino Persile, un’« Apologia sopra il terzo principiodelia ‘ Scienza nuova ’ del signor don Giovan Battista Vico, in cui egli tratta della origine di’ ogni lingua e della mutola significativa, divisa in quattordici lettere, nelle quali si fa vedere che quanto contiene il sudetto principio, tutto sia, così per filosofia come per istoria sacra e profana, erroneo e falso». Di certo, in codeste lettere, nelle quale l’autore finge di venire confutando argomenti addotti a favore del Nostro da un immaginario vichiano, sono anticipate, con tanto malgarbo quanto scarsa vis logica, talune delle obiezioni che contro l’eterodossia linguistica del Vico riproporrà, con ben altro vigore polemico, il padre Bonifacio Finetti (v. più oltre, sezione seconda, capitolo primo, numero 6). Senonché, a prescindere da ciò, anche codesta Apologia è contesta, nella sua maggior parte, di vecchiumi già abbandonati dai più colti trattatisti dell’origine del linguaggio e della scrittura, quali, per esempio, alla fine del Seicento, Stefano Morin (1625-1700) e il Ledere e, nel terzo decennio del Settecento, il Warburton, degli studi del quale sui geroglifici (v. qui appresso pp. 236-39) il Romano non sospetta neppure l’esistenza. Mette conto aggiungere per ultimo che tra le accuse formolate dal Romano contro il Nostro non manca quella di fantasiosità sfrenata : con che capitò anche a lui, mentre scorgeva il fuscello nell’occhio del prossimo, di non avvedersi del trave che gravava il proprio. Valga come saggio il fatto che nello stesso anno 1749 pubblicava, col ìdolo II vero senso della favola del ciclopo, una diffusa dissertazione, intesa, con implicita polemica contro il Vico, a dimostrare che in Polifemo e nei ciclopi Omero avesse allegorizzato «la persona dell’ usuraio avido e tenace, intento solamente ad ammonticchiare ricchezze col danno e colla rovina altrui ». Per altri ragguagli, Labanca, Giambattista Vico e i suoi critici cattolici, pp. 116-49. Del Giustiniani v. gli Scrittori legali citati più appresso, 111, 119-22. 11. N. Antonelli. sopra il ducato di Parma e Piacenza esposte ai sovrani e prin■