Bibliografia Vichiana I, стр. 251
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VOLTAIRE - SERGIO - LAMI
essere compiuta in questa sede. Ma, d altra parte, non si può passare sotto silenzio che, quando nel capitolo XXXIII di quel saggio famoso si legge : «On a longtemps cherché l’origine du gouvernement féodal. Il est à croire qu’ il n’ en a point d’autre que l’ancienne coutume de toutes les nations d’imposer un hommage et un tribut au plus faible », s’ ha quasi l’impressione che il Voltaire non facesse se non riassumere la teoria dell’ origine eterna dei feudi formolata e ampiamente ragionata dal Vico sin dal 1720. « Quasi l’impressione », per altro : giacché non è punto detto che, pure nella sua buona conoscenza della letteratura italiana in genere e di quella a lui contemporanea in ispecie (e, in questa, dell’/storia civile del Giannone), l’autore deir.Es.sai avesse notizia anche dell’autore della Scienza nuova. Cfr. Voltaire, OEuvres, ediz. Paris, Furne, 1828, I, 1119. 18. G. A. Sergio. Nella prefazione a una Nuova raccolta di opuscoli di Gianvincenzo Gravina (Napoli, MDCCXLI, presso Giovanni di Simone) il giureconsulto Giannantonio Sergio da Matonti in provincia di Salerno (1705-66) asserisce che soltanto due napoletani avevano continuato degnamente l’opera del roggianese : il Vico come colui che « da’ più riposti seni della metafisica, dalla proprietà d’una lingua eroica e dalla più rimota istoria e filosofia ha derivato quel savissimo sistema dell’unico principio e dell’unico fine del diritto, ch’è riuscito l’ammirazione di tutti i dotti » eil già mentovato Giuseppe Aurelio di Gennaro (v. sopra pp. 218-20). 19. G. Lami. Giova anzitutto andare notando gli accenni al Vico che s’incontrano nelle periodiche Novelle letterarie , fondate, dirette e in gran parte compilate da uno dei più fieri avversari del Nostro, ossia dall’ erudito fiorentino Giovanni Lami (1693-1773). Nel tomo primo (1740), p. 579, a proposito delle fantasiose elucubrazioni di un genealogista della famiglia Galluzzi, si osservava ironicamente che lo stemma dei Galluzzi « non cede in nulla ai due stemmi, che a’ nostri tempi, nella tenebrosa antichità di quattromila anni solo, furono av. venturosamente ritrovati dalla perspicacia del famoso giureconsulto Gio. vambattista del (sic) Vico ». Con che si allude alla tanto fantasiosa quanto infelice congettura esposta, sì, dal Nostro nel libro terzo, capitolo XXXII, della prima Scienza nuova a proposito degli stemmi degli Absburgo e dei Borboni (Opp., Ili, capovv. 846 e 348, e cfr. V, pp. 50 e 157), ma già implicitamente rifiutata nella redazione del 1730, ove quella congettura non ricompare.