Bibliografia Vichiana I, стр. 261
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GENOVESE
parte, in un’inedita biografia del Genovese scritta non si sa da chi, è raccontato che nel 1738, tempo deH’arrivo di lui in Napoli, « era già un anno che egli aveva letto la Scienza nuova del signor Giambattista Vico, celebre metafisico, filologo, critico dei tempi suoi : il perché corse ad ascoltarlo, a cui avendo dedicato la sua servitù, ebbe l’onore della sua amicizia ». Di certo, col suo empirismo di provenienza lockiana, anzi con la sua sostanziale avversione alla speculazione filosofica, il Genovese imboccò una strada che si può dire quasi opposta a quella percorsa dal Vico. Non per nulla gli viene altribuita, non si può dire con quanto fondamento, una definizione semischerzosa, la quale ha pure il suo motivo di vero, ma che diverrà nel genovesiano Giuseppe Maria Galanti ciò che si vedrà a suo luogo (presente sezione, capitolo secondo, paragrafo 11, numero 9) : la definizione, cioè, dell’ autore della Scienza nuova come d’ un « creatore di romanzi filosofici ». Ciò nonostante, citazioni e reminiscenze di quei romanzi non sono rare negli scritti del filosofo di Castiglione. Per esempio, ne La logica per giovanetti [Napoli, 1766), p. 192, la Scienza■ nuova è affermata « libro maraviglioso ed uno dei pochi che in tal materia facciano onore all’ltalia ». Negli Universae Christianae theologiae dementa dogmatica-historica-critica, pubblicati postumi a Venezia nel 1771, e più esattamente nel quarto capitolo del quarto libro, intitolato De hominum societate et de officiis quae in eo statu ex iure aeterno fluunt (cfr. anche libro quinto, capitolo quarto, De religione hebraica), vengono confutate le ipotesi vichiane sulle origini della civiltà, non senza tuttavia che alla confutazione precedano le parole : « Quoniam porro vir noster clarissimus lohannes Baptista Vicus quinque libris Scientiae novae de principiis nationum gentilium disserit, operae praelium est eius systema paucis verbis exponere ». Analogamente, nel terzo volume, del pari postumo, della Diceosina ossia della filosofia del giusto e deir onesto (Napoli, 1777), e più propriamente nel primo capitolo del secondo libro, il Genovese si pone contro il Vico, negando assolutamente che l’umanità abbia attraversato quello che la Scienza nuova chiama « erramento ferino » : il che, per altro, non toglie che, a proposito dello stato di natura, l’autore faccia proprie, senza indicarne la fonte, molte idee vichiane, come, tra l’altro, quando scrive che « l’uomo nello stato di natura è come un fanciullo, in questo senso che ha poca ragione e povera lingua, viva