Bibliografia Vichiana I, стр. 262
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GENOVESE
sensibilità e fantasia : ha costumi semplici, ma commisti di sùbite ire e di sùbite paci ». Né forti reminiscenze vichiane mancano nelle cosiddette Lettere familiari, raccolte in Napoli nel 1774 da Domenico Forges-Davanzati e più volte ristampate. E invero, quando, in un’ epistola genovesiana a Ferrante de ■Gennaro-Maddalena (Napoli, 22 giugno 1755), si deplora che « il secolo morbido ha occupato tutta l’Europa, e la repubblica letteraria è divenuta, come il resto del mondo, languida e neghittosa », perché « quasi da per tutto, e in tutte le scienze, non si fa altro che ridurre in piccoli compendi, ma chiari e metodici, le fatiche de’ grandi uomini del secolo passato », non c’è studioso del Vico al cui orecchio non tornino concetti analoghi espressi in molto più alto tono nelle lettere vichiane al De Vitry e allo Esteban (Opp., V, 205-208, 212-18), che, vivo ancora il Nostro, correvano già per Napoli in più copie manoscritte. Inoltre, un principio fondamentale della Scienza nuova è riecheggiato, e anche questa volta in tono assai minore, in una lettera del Genovese a Giambattista Sanseverino (Napoli, 25 decembre 1763), ove, a proposito delle dispute sull’antica poesia ebraica, è detto che, per risolverle, è da porre mente a questo « punto reale e fisso » ; che « ogni persona e, con ciò, ogni nazione, selvaggia e barbara o culta, canta, come cantano tutt’i passeri, tutti gli rosignuoli»; o, ch’è lo stesso, che, poiché l’uomo è «per natura animai cantante», tutt’i popoli tanto i selvaggi dell’ Asia quanto quelli delle America hanno le loro canzoni. Senonché nella storia della fortuna del Vico il Genovese ha diritto a un posto cospicuo non tanto forse per codesti suoi accenni scritti quanto per le frequenti menzioni ch’egli usava fare dell’antico maestro nelle sue lezioni orali, e meno forse in quelle di filosofia che non nelle altre di economia, le quali, a ogni modo, assai più delle lezioni di filosofia, formarono intorno a lui una scuola assai fiorente. Lo attesta Vincenzo Cuoco quando scrive che « in Italia la scuola di Genovesi, che fu di lui discepolo, l’ha tenuto sempre in altissimo pregio ; ed a misura che la scuola di Genovesi si è diffusa nel rimanente dell’ltalia, la fama di Vico è cresciuta ». Naturalmente, il Vico di cui quella scuola serbava il culto, non era già il genuino Vico antintellettualista, idealista e storicista, ma un Vico genovesizzato, ossia empirizzato, e poi via via contaminato con quanti indirizzi filosofici prevalsero in Europa e, at-