Bibliografia Vichiana I
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BUONAFEDE
Qui, dietro Torme delle genti andate, tra i sapienti e tra i numi, esulto e volo ; qui il nodo di ragione e di pietate scopro e di nuova luce mi consolo. L’Anglo, il Batavo, il Celta, l’Alemanno scrivan leggi sul fango ai frali vermi, eh’ italo petto abhorre il basso inganno. Dio, fonte e scopo di diritti immoti, io annunzio ; e mostro, anche in quest’anni infermi, che Italia è Italia, e goti sono i goti. E nel commento insisteva sulla superiorità della filosofìa vichiana su quella forestiera ; trovava che «la Nuova scienza, sebbene sparsa di erudizioni ridondanti, astruse e talvolta impenetrabili, riposa però sopra profonde e solide verità»; osservava che, « se non si fosse intorbidata la limpidezza dell’opera con tanto popolo di titani, di polifemi, di centauri, di grammatici, di sofisti, di retori, di poeti e di altre siffatte incomode sovrabbondanze » (se, cioè, il Vico avesse rinunziato alle sue innumeri « discoverte » di natura filologica), «il principio e fine unico della universal legge divina, eterna, immutabile per origine, per circolo, per costanza, varrebbe assai più che cento pingui volumi di legislazione interessata, terrestre. mortale, accumulata nella scuola dei pubblicisti e ne’ mercati de’ librai boreali »; e conchiudeva : « Io offero quest’elogio al mio dotto amico Rocco Terracciani, cui è piaciuto di risvegliarmi la memoria del raro poeta, dell’ originale storico ed oratore e del profondo giureconsulto, che nella mia prima gioventù conobbi ed ammirai, e ne raccolsi le ultime voci ». Ognuno vede che codesto giudizio nel precorrere così certe xenofobie scientifiche di taluni vichiani e antivichiani napoletani della prima metà dell’Ottocento (per esempio del Jannelli e del Troya), come talune deformazioni in senso cattolico della Scienza nuova tanto care ad alcuni studiosi dei giorni nostri,è agli antipodi coi risultati raggiunti dal più penetrante dei critici cattolici del Nostro, ossia dal Finetti (v. in questo medesimo paragrafo il numero 6). È, quindi, un giudizio, che, mentre non brilla per eccessiva comprensione, mostra che l’autore diceva meno del vero quando scriveva che soltanto alcune « erudizioni » dell’opera vichiana gli erano riuscite « impenetrabili ». Tuttavia al Buonafede quel giudizio dovè sembrare così meritevole di attenzione da indurlo a ripeterlo quasi testualmente sia in Della restaurazione di ogni filosofia nei se-