Bibliografia Vichiana I
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ROUSSEAU
ceduto in tutto e per tutto dal Vico, il quale, oltre che movere ai « filosofi » analoghe censure ( Opp., Ili, capovv. 27-31 ; IV, capov. 330), aveva fatto già, e in misura ben altrimente ampia e geniale, proprio ciò che lo scrittore ginevrino s’illudeva d’accingersi a fare lui per la prima volta. Per passare da codeste avvertenze metodologiche al vivo della questione, pel Rousseau (p. 161), come pel Vico ( Opp ., IV, capovv. 369 sgg.), la terra, nelle origini, era « couverte de foréts immenses », ove, adusati « dès l’enfance aux intempéries de l’air et à la rigueur dei saisons, exercés aux fatigues et forcés de défendre nus et sans armes leur vie et leur proie contre les autres bétes féroces ou de leur échapper à la course, les hommes se forment un tempérament robuste et presqu’inaltérable ». Anche il Rousseau (pp. 169-70), come già il Vico {Opp., IV, capov. 373), osserva che nell’uomo primitivo la vita aveva avuto inizio <. par des fonctions purement animales», quali sono « apercevoir et sentir ». E adattamento d’una teoria assai cara al Nostro (Opp.. IV, capov. 363) potrebbe sembrare persino la proposizione che, « quoi qu’ en disent les moralistes, l’entendement humain doit beaucoup aux passions » (p. 170). Ma, d’altra parte, è evidente che non dal Vico, bensì dal Condillac (v. sopra pp. 280-82), che, d’altronde, è citato esplicitamente, il Rousseau, per lo meno nel Discours , prende lo spunto di ciò che osserva intorno all’origine del linguaggio (pp. 173 sgg.) ; intorno ai gridi inarticolati istintivi, alla successiva diversità d’inflessioni nell’emettere la voce, ai gesti e ai « sons imitatifs », ossia alle onomatopee (pp. 175-76) ; intorno, infine, alla « signification plus étendue » di quella di tempi colti, che, presso gli uomini primitivi, avrebbero avuta le prime parole articolate, e alla qualità di nomi propri o individuali che avrebbe caratterizzato originariamente tutti i sostantivi, anche quelli indicanti animali e cose (pp. 176-77). E, ch’è più, posizione affatto antitetica al Nostro assume l’autore del Discours , così nel porre in rilievo che, « si les hommes ont eu besoin de la parole pour apprendre à penser, ils ont eu plus besoin de savoir penser pour trouver l’art de la parole », come nello spaventarsi a tale punto di codesto intrico (dal quale il Vico aveva saputo tenersi lontano col fare del linguaggio un atto non riflessivo ma intuitivo, ossia una parenne creazione della fantasia), da affermare « l’impossibìlité presque demonstrée que les langues aient pu naitre ou s’établir par des moyens purement humains » (pp. 178-79). Ch’è precisamente la conclusione alla quale s’era opposto il Nostro quando, nel dare inizio, nella seconda Scienza nuova, al capitolo sull’origine del linguaggio ( Opp ., IV, capovv. 428 sgg.), aveva censurato, tra altri, anche Bernardo von Mallinckrot e Ingewald Elingius, i quali, « per l’incomprendevolità della guisa », in cui erano sorti al mondo il linguaggio e la scrittura, avevano affermato l’uno e l’altra « ritruovato divino ». Simiglianze, ma commiste con forti dissimiglianze, si avvertono tra i « bestioni » vichiani, nudi, « irsuti, squallidi, rabuffati », privi di religione, di senso morale, di linguaggio e d’intelletto raziocinante, bisognosi di tutto e perciò erranti senza posa per la gran selva della terra, tanto meno liberi in quanto schiavi delle passioni più violente e da queste spinti perennemente a vicendevole guerra, ecc. ecc. (Opp., IV, capovv. 369 y 374, ecc.) ; e 1’« homine sauvage » rousseauviano, « errant dans les foréls, sans industrie, sans parole, sans domicile, sans guerre et sans liaison, sans nul besoin de ses semblables, comme sans nul désir de leur