Bibliografia Vichiana I

374

KANT - SCHILLER

citala più oltre, pp. 97 sgg. ; nonché gli Studi vichiani, prima edizione, pp. 101 sgg.); del Croce, la Filosofia di G. B. Vico ', cap. I e pp. 251, 252, 253. —Del Fiorentino v. Scritti vari citati più oltre p. 183 ; e cfr. Manuale di storia della filosofia ad uso dei licei, seconda edizione (Napoli, D. Morano, 1887), p. 389 ; nonché Donato Jaja, prefazione agli Scritti filosofici dello Spaventa, pp. viti sgg. Quanto allo Spaventa cfr. più oltre sezione quarta, capitolo secondo, paragrafo I, lettera A, numero 5; il passo testuale riferito sopra sta negli Scritti filosofici, p. 310. Del Croce, infine, sono da vedere ancora l’ Estetica, pp. 802 sgg.,il Saggio sullo Hegel, pp. 239-40 e 332, e i Nuovi saggi di estetica, pp. 114 e 157-58.—Nulla di nuovo aggiunge Erminio Troilo nell’articolo Di alcune relazioni tra Vico e Kant a proposito della storia ideale eterna, inserito in Bilychnis, maggio 1927, pp. 347-56. 5. Schiller. idee d’un lettore di Vico Luciano Nicastro pone in rilievo talune affinità tra questo o quel luogo della Scienza nuova e il saggio dello Schiller Della poesia ingenua e sentimentale, comparso primamente nella sua rivista Die Hóren, fascicoli del novembre e decembre 1795 e gennaio 1796. Per esempio, dove io Schiller scrive che, presso gli antichi greci, « la cultura non era così degenerata da far dimenticare per essa la natura »; che « tutto l’edificio della loro vita sociale era fondato su sentimenti, non su di un imposto dall’arte » ; che « la loro stessa dottrina degli dèi era l’ispirazione di un sentimento ingenuo, il parto d’un’immaginazione serena, non di un arrovellarsi della ragione, come la fede di chiesa delle nazioni moderne », e così via ; il Nicastro osserva che l’efficacia esercitata dalla cultura sul primitivo e naturale senso del popolo greco era stata determinata con precisione molto maggiore dal Vico, là dove aveva scritto a sua volta ( Opp ., IV, capov. 158) che nell’Ellade « i grandi filosofi affrettarono il naturai corso che far doveva la loro nazione col provenirvi essendo ancor cruda la lor barbarie, onde passarono immediatamente ad una somma delicatezza, e, nello stesso tempo, serbaronv’ intiere le loro storie favolose così divine com’er iche », cioè quella che lo Schiller chiamava « dottrina degli dèi ». Analogamente, se il Nicastro non adopera un’ espressione eccessivamente felice nell’ asserire che « la natura pura che scopre Schiller, seguendo le orme di Kant, somiglia a quella vichiana », resta sempre il fatto che, nella considerazione dei rapporti tra il cosiddetto stato di natura e la poesia, il filosofo italiano e lo scrittore tedesco presentano qualche affinità, non fosse per altro che per avere posto tutt’ e due quel problema. Pel Vico la poesia sorge in modo affatto spontaneo, anzi quale necessità assoluta, nel cosiddetto stato di natura, del quale è sola forma di espressione ( Opp ., IV capov. 376) : ragione per cui, per raggiungerla in tempi colti, bisogna, per dire così, sapere tornare allo stato di natura, ossia entrare nelle cose stesse così come v’entravano gli uomini primitivi, e vederle, come le vedevano quelli, « sì risentite e vive che non vi permettono di riflettervi, ma vi fan forza a sentirle » (Opp., V, p. 199). E, per lo Schiller, « nello stato di semplicità naturale, dove l’uomo agisce ancora con tutte le sue forze insieme, come unità